"LE
5 GIORNATE DEL JAZZ"
La
storia del jazz raccontata attraverso grandi trombettisti
americani
Bolzano
dicembre
2005 - febbraio 2006
Sala
Monteverdi del Conservatorio di Bolzano – ore 20,30
Giovedì
1 dicembre 2005
Gli
inizi: Louis Armstrong
Relatore:
Stefano Zenni
con
Paolo Fresu Quintet
***
Giovedì
15 dicembre 2005
La
trasformazione ed il conflitto: Dizzy Gillespie
Relatore:
Luigi Onori
con
Paolo Fresu Quintet
***
Martedì
17 gennaio 2006
L’arte
e la ricerca: Miles Davis
Relatore:
Enrico Merlin
con
Paolo Fresu Quintet
***
Giovedì
2 febbraio 2006
La
poesia e il malessere: Chet Baker
Relatore:
Giuseppe Vigna
con
Paolo Fresu Quintet
***
Giovedì
16 febbraio 2006
L’attualità:
fra Wynton Marsalis e Dave Douglas
Relatore:
Stefano Merighi
con
Paolo Fresu Quintet
Per
informazioni: 0471 411204; e-mail: cultura.italiana@provincia.bz.it
Sito
Internet: www.provincia.bz.it/5
Informazioni
tecniche correlate da chi vi sta inviando questo messaggio (produttore
e ideatore): Vittorio Albani - 0471 264033
Informazione
aggiuntive tratte dal testo di presentazione dell'evento -
Note
dei curatori:
Pare
che le donne, innanzitutto, non capiscano il jazz. Non si è
mai ben compreso il perché e sembra semmai vero il contrario
perché ai concerti di musica afroamericana – molto più che
a quelli pop – pare che proprio le donne formino invece lo
zoccolo duro degli uditori. Forse è soltanto una frase fatta
o forse, quando
Paolo Conte
ha scritto “quella” canzone, gli è venuta soltanto
un’idea “metricamente” vincente facile da trascrivere.
L’escamotage
serve comunque solo ed unicamente a ricalcare un luogo comune,
per altro sfatato da un buon decennio alle spalle che ci
insegna, invece, come il jazz sia finalmente divenuta prima
arte riconosciuta nel campo della musica contemporanea.
Dapprima fuggito, in virtù di una non in fondo ben
comprensibile difficoltà di fruizione e semmai considerato
dai veri cultori del verbo musicale nei Conservatori e nelle
sale da concerto “per bene”, ha oggi ribaltato la sua
immagine e – caso strano – è proprio nei Conservatori che
fa più paura ai puristi, i quali non riescono a comprendere
che si tratta probabilmente
di ciò che – molto più di altro – potrebbe essere
considerato come l’espressione più moderna del tradizionale
significato di musica “seria”. Eppure non è nemmeno di
“nuova musica classica” che si tratta. Spiegare il jazz
significa innanzitutto trasmettere l’estrema libertà di
concezione di un’arte per un verso purissima e per l’altro
totalmente contaminata. Forse l’estrema sintesi di ciò che
oggi sarebbe classicamente da intendere come “l’arte
giusta al momento giusto”. Correlata, come la realtà
insegna, con il contemporaneo più stretto e capace di fornire
la colonna sonora autentica dei tempi che stiamo vivendo, nel
senso più nobile ed intelligente del termine e quindi assai
lontano da mode e imbecillità imperanti.
Forse
solo parole… cancellabili però all’istante, proprio da un
semplice assolo di tromba. E che questo sia storico come
quelli di Louis Armstrong o assolutamente d’avanguardia come
quelli di Arve Henriksen o
Dave Douglas
poco importa.
E’
in quel preciso momento che, infatti – complice una semplice
intuizione fanciullesca – si può riuscire a comprendere
all’improvviso.
Il
jazz è sempre erroneamente stato etichettato come
“espressione d’elite”; da tempo si va invece affrancando
dalla seriosità della sua stessa storia e anche – non me ne
si voglia – dai morbosi quanto tediosi incontri
conferenzieri che tentavano di spiegarne – attraverso
architetture non correlate - la sua essenza e filosofia.
Questa serie di incontri è un tentativo: crediamo che siano
venuti i tempi di cavalcare il jazz portandone le discussioni
nel salotto familiare, incrociandone la straordinaria storia
con la voglia di parlarne non in anacronistico doppio petto o
facendo accademia. Facendo incontrare alcuni grandi storici e
operatori del settore con alcuni suoi primattori contemporanei.
Senza assolutamente voler stemperare quella che è una grande
e serissima storia nei territori dell’ “easy per forza”,
ma considerando anche il “gioco” che la ha sempre
accompagnata nel momento topico del concerto. Perché il jazz
è anche e soprattutto bello quando nel celebrato interplay
fra i musicisti che lo fanno vivere, si riesce a far entrare
anche quello con il pubblico, riuscendo così a creare una
sorta di “gioco totale”, capace di far divertire chi
produce la musica e chi la fruisce.
Vittorio Albani
Quando
ho ricevuto l’invito a preparare e coordinare una serie di
conferenze sul jazz ho pensato che l’atteggiamento migliore
sarebbe stato quello di non uscire dal mio ruolo di artista e
di stimolatore culturale.
Ci
sono vari modi infatti di leggere o rileggere la storia del
jazz. Sono tanti quante sono le personalità straordinarie
delle migliaia di artisti che hanno letto e stanno oggi
rileggendo il ricco patrimonio di questa musica nel tentativo
di innestare il passato nel presente, per dare senso al futuro
e alla contemporaneità odierna.
Lo
standard nel jazz è quel materiale popolare e conosciuto che
diventa (o può diventare) pretesto per muoversi in un
territorio originale e personale. Quanti hanno suonato
“Caravan” di Ellington cercando da una parte di rispettare
la composizione originale e nello stesso tempo di aggiungere
qualcosa di proprio? E quanti sono partiti dalla forma AABA di
una canzone per scandagliare il significato più profondo di
una melodia o il significato e la magia del suono o della
frase?
Leggere
la storia del jazz attraverso cinque o più trombettisti è
per me il modo di usare uno strumento musicale come strumento
“altro” per raccontare uno stile musicale che, più di
altri, è strettamente legato al corpo, al pensiero, alla
società, la religione e la storia con le sue evoluzioni
repentine del secolo appena trascorso.
La
tromba è inoltre uno strumento non solo diretto ma popolare,
capace di arrivare e colpire nel cuore e nella mente.
Personaggi come Louis Armstrong, Dizzy Gillespie e Chet Baker
sono stati non solo dei grandi strumentisti ma anche degli
ottimi ed originali cantanti che hanno stravolto la tecnica
ortodossa della voce ed assieme a Miles Davis, ‘bird’
libero come Parker, hanno sconfinato dal piccolo mondo del
jazz verso quello di una popolarità tipica di “altre”
musiche come il Pop o il Rock.
La
tromba è dunque non solo strumento comunicativo ma anche
estensione naturale, assieme alla voce, del corpo che respira
e che pensa.
Cinque
storie e cinque personalità completamente diverse tra loro
per raccontare un’epoca irraccontabile e sfuggente. Fatta di
porte aperte ed altre chiuse o socchiuse; di stili che si
perdono in mille rivoli musicali. Fatta di storie tristi e
dure e di poesia. Di suoni laceranti a volte terribilmente
sereni e delicati. Fatta di voci, di gesti, di fotografie e di
smoking, ma anche di corpi multicolori tra il bianco e nero
della storia recente.
Se il jazz è stato ed è questo perché non raccontarlo con
il contributo di cinque relatori che lo leggono e lo
raccontano a loro volta in modo diverso? E perché non assieme
ad un gruppo di amici musicisti che amano la tradizione,
coscienti della necessità di essere parte dell’attualità
di oggi?
La
mia speranza è che questi cinque incontri possano risultare
completamente diversi l’uno dall’altro. Se è vero che tra
lo stile di
Dave Douglas
e Louis Armstrong c’è apparentemente poco in comune, è
altrettanto vero che la storia del jazz è legata da un
inesorabile filo conduttore. Una sorta di filo di Arianna che
proveremo a trovare (o ritrovare) durante questi cinque
appuntamenti tessendo una maglia fatta da tanti contributi
diversi attraverso le voci di
Stefano Zenni
,
Luigi Onori
,
Enrico Merlin
,
Giuseppe Vigna
e Stefano Merighi.
Paolo Fresu
Stefano Zenni
(Chieti, 1962)
è
Presidente della Società Italiana di Musicologia
Afroamericana (SIdMA). Insegna materie teoriche, storiche e
musicologiche presso i Conservatori di Bologna e Parma, a
Siena Jazz e all’Università di Chieti. Ha pubblicato e
curato importanti libri su Louis Armstrong, Umberto Cesàri,
Herbie Hancock, Miles Davis, Charles Mingus. E’ direttore
dei seminari Chieti in Jazz. E’ direttore editoriale della
Backbeat srl. È collaboratore del New
Grove Dictionary of Jazz. A lungo collaboratore di Musica
Jazz, scrive sul Giornale
della Musica, Musica
Oggi, Black Music
Research Journal. E’ direttore del Fondo di musica jazz
Arno Carnevale a Valenza (Al). E’ stato candidato ai Grammy
Awards come autore di note di copertina. È direttore
artistico della rassegna Metastasio Jazz presso
la Fondazione Teatro Metastasio
di Prato e della stagione musicale della Società del Teatro e
della Musica L. Barbara di Pescara. E’ conduttore di Rai
Radio3.
“Sulla
tromba non puoi suonare nulla che Armstrong non abbia già
suonato”. Parola di Miles Davis, che comprese come
nell’arte di Satchmo ci sia tutta l’essenza del jazz e
dello strumento. Ma Armstrong è stato non solo il più
influente dei musicisti del Novecento: è stato anche un
cantante unico, un intrattenitore straordinario e un
ambasciatore della buona musica. Contrariamente alla
percezione comune, la sua musica si è evoluta e trasformata
nel tempo, lungo una carriera che, attraversando tutto il
secolo, ha portato il jazz nei quattro angoli del mondo.
Luigi Onori
(Roma, 1956)
saggista
e critico musicale - è collaboratore del quotidiano "il
manifesto"e del supplemento "Alias" dal
1981. Ha
all'attivo saggi e recensioni per la rivista specializzata
"Musica Jazz" (monografie su D. Ellington,
J.Coltrane, A. Ibrahim, R. Weston, G. Allen, S. Coleman, B.
Tommaso, il jazzrusso e quello sudafricano). Si occupa di jazz
e musiche afroamericane sotto il profilo giornalistico,
saggistico, radiofonico, convegnistico e didattico. Ha al suo
attivo centinaia di articoli, comparsi su varie testate tra
cui "Musica/Realtà", "Fare Musica",
"Il Giornale della Musica". Ha pubblicato svariati
volumi fra cui "Il Jazz e l'Africa. Radici, miti,
suoni" (2004), "Il jazz nella tradizione
afroamericana" (1998). Dal 1985 collabora a RadioTre. E'
stato socio fondatore e membro del direttivo della disciolta
Sisma (Società Italiana per lo Studio della Musica
Afroamericana) ed è iscritto alla SIdMA (Società Italiana di
Musicologia Afroamericana). Ha ricoperto il ruolo di direttore
responsabile del bollettino "Il Sismografo" e
dell'organo dell'AMJ (Associazione Nazionale Musicisti Jazz).
Attualmente collabora con
la "Casa
del Jazz" di Roma.
Dizzy Gillespie, la trasformazione e il
conflitto. Il trombettista afroamericano incarna una delle
dinamiche tipiche della cultura e della musica nera: un forte
radicamento ed una marcata conoscenza della tradizione; la
ricerca di un suo superamento. In tal senso Gillespie matura
le sue esperienze nelle big-band swing e tardo-swing di cui
conosce bene il linguaggio; da grande solista quale sarà sa
cosa vuol dire suonare in sezione; è perfettamente padrone
del repertorio dell'epoca e dei giri armonici sottesi ai
brani provenienti da Broadway o Tin Pan Alley. Partendo da
Louis Armstrong, e passando per Roy Eldridge, Dizzy Gillespie
rivoluzionerà il linguaggio del jazz sulla base di un'intima
conoscenza di quanto è stato elaborato prima di lui. Mutano
il contesto armonico, la velocità di fraseggio, il repertorio,
lo spazio dell'improvvisazione, il pubblico destinatario.
Gillespie sarà, infatti, basilare anche a livello di
immaginario
con il suo look eversivo, una big-band da fuochi d'artificio,
l'attenzione per la musica afrocubana percepita come "radice
viva" africana del jazz. Ce n'è abbastanza per una
figura di innovatore profondo, di ambasciatore consapevole, di
opinion-leader non solo musicale ma politico
(parteciperà
alle elezioni presidenziali...), campione di umorismo e
surrealismo sonoro.
Enrico Merlin
, (Milano,
1964)
musicista
e storico della
Musica Afro-Americana e del Rock.
Ha
compilato il catalogo completo delle opere edite ed inedite di
Miles Davis, commissionatogli direttamente dalla famiglia
dell'artista. Ha redatto le note di copertina, comprensive di
dettagliate analisi musicali, per cinque CD di Miles Davis.Ha
collaborato alla realizzazione del DVD "Miles At Isle Of
Wight" di Murray Lerner. Suoi scritti sono apparsi in
diversi libri, riviste specializzate e quotidiani. Da anni è
parte della Tiger Dixie Band, formazione dedita al recupero e
all'evoluzione del Jazz tradizionale. L'amore per le sonorità
acustiche del mondo tradizionale convive con l'interesse per
elettronica, campionatori ed effettistica. Ha all'attivo
diverse realizzazioni discografiche ed ha partecipato a molti
Festival internazionali. E’ docente di “Cultura Musicale”
presso il CDM di Rovereto dove tiene un corso sulla storia
della musica del ‘900 e fa parte del corpo docente del Corso
Triennale di Specializzazione Professionale. Insegna chitarra
e storia della musica.
L’evoluzione
artistica di Miles Davis si identifica con quella della storia
della musica di origine afroamericana, dal
1945 in
poi. Ciò non significa che egli sia stato necessariamente un
“genitore” di stili, ma sicuramente è stato un
“generatore” e “sviluppatore” di grandi situazioni
musicali. Catalizzatore di talenti, leader dalle capacità non
comuni, sperimentatore di tecniche all’avanguardia che ad
ogni passaggio hanno sollevato critiche o esultazioni. I
segnali non verbali come metodo di guida dello “strumento-orchestra”,
l’orgoglio di essere figura di spicco della cultura del
novecento, un carattere peculiare, schivo e apparentemente
aggressivo hanno fatto di lui un’icona transgenerazionale
che ha contribuito a raschiare, per quanto possibile, i piedi
d’argilla delle inutili categorizzazioni stilistiche.
Una volta, dopo uno dei primi concerti elettrici, un noto
musicista si avvicinò a Miles Davis dicendogli: "Miles,
questa tua svolta elettrica, io proprio non la capisco".
E Miles: "E io cosa dovrei fare? Forse aspettarti?"
Giuseppe Vigna
(Cosenza, 1960)
vive
e lavora a Firenze. Negli anni '
80 ha
diretto le sezioni "Cinema e Rock" e "Lo
Schermo dei Suoni", dedicata a cinema e musica, per il
Festival dei Popoli di Firenze, ha collaborato con riviste e
quotidiani e realizzato programmi radiofonici.
Negli
anni '90 è stato tra gli animatori di "Tradizione In
Movimento", la rassegna dedicata al jazz ed alle nuove
musiche del Musicus Concentus di Firenze, di cui è
attualmente condirettore artistico e responsabile dell'ufficio
stampa.
Inoltre
collabora con il quotidiano La Nazione, con
la rivista Musica Jazz
, continua a realizzare programmi radio ed ha scritto due
libri, uno su Caetano Veloso ed uno sulla storia del jazz.
Un
icona maledetta del jazz, Chet Baker da un lato rappresenta
l'autodistruzione, nella dipendenza ininterrotta dalle droghe,
dall'altro la ricerca di bellezza e poesia attraverso la
musica, fino a suonare ogni assolo come se fosse l'ultimo.
Per
molti Chet Baker è il jazz, sicuramente ne rappresenta
un'idea: quella del solista che affida ad ogni intervento il
racconto di esperienze, desideri e passioni. Intensi,
struggenti e ammaliatori il suo canto ed il suo stile
solistico raccontano un'esistenza tormentata dagli esordi,
rarefatti e cool, alle ultime prove, dominate da un lirismo
maturo. Il concerto/conferenza ne ricostrurà la vicenda
alternando varie fasi della sua carriera.
Stefano Merighi
(Venezia, 1959)
Laurea
in filosofia, insegna lettere nelle scuole superiori. Si
occupa di musica e di jazz in particolare dagli anni Settanta.
Ha curato diverse trasmissioni radiofoniche sul jazz per
emittenti private e due cicli di “Il Jazz. Improvvisazione e
creatività nella musica” per Rai-RadioTre, negli anni
Ottanta. Scrive recensioni su rassegne nazionali e
internazionali per “Il Mattino di Padova”, “
La Nuova Venezia
”, e “La Tribuna di Treviso” dal 1980.
Pubblica
articoli e saggi su “Musica jazz”, collabora con
“Allaboutjazz” e con “Il Manifesto”. Ha curato la
direzione artistica di diverse rassegne jazz svolte ad Abano
Terme, tra cui le edizioni 1995, 1996 e 1997 di “Jazz alle
Terme”.
Dal
1997 è co-direttore artistico del Centro d’Arte
dell’Università di
Padova. Ha collaborato alla redazione del cd-rom “Il Jazz. I
dischi, i musicisti, gli stili” (Editori Riuniti), a cura di
Marcello Piras. Per Rai-Radio Tre conduce due edizioni del
programma “Invenzioni a due voci” (2002 e 2003) e di
“Fuochi” (2004 e 2005), spazio di Radio 3 Suite.
"Young
Lions" sono stati chiamati i neo-classici, comparsi sulla
scena jazzistica all'inizio degli anni 80.
Tra
questi, Wynton Marsalis ha imposto il proprio talento.
Ha studiato con profitto l'intera tradizione afroamericana, ma
ha rifiutato la "new thing", si è distinto come il
numero uno tra i trombettisti, ma ha preteso di indicare le
strade buone e quelle cattive.
Qualche
anno dopo,
Dave Douglas
- e con lui molti altri - ha contribuito ad un altro
tipo di "rinascenza" estetica, aperta a 360 gradi
verso tutti i suoni del mondo, senza alcun limite alla
fantasia creativa. Con lui, il jazz incontra i colori
balcanici e il klezmer, si riconduce a Lester Bowie e Don
Cherry, fino a sfidare i classici del ‘900 europeo.
PAOLO
FRESU
La
banda del paese e i maggiori premi internazionali, la campagna
sarda e i dischi, la scoperta del jazz e le mille
collaborazioni, l’amore per le piccole cose e Parigi.
Esiste
davvero poca gente capace di mettere insieme un tale
abbecedario di elementi e trasformarlo in un’incredibile e
veloce crescita stilistica.
Paolo
Fresu
c’è riuscito proprio in un paese come l’Italia dove - per
troppo tempo - la cultura jazz era conosciuta quanto
Shakespeare o le tele di Matisse, dove Louis Armstrong è
stato poco più che fenomeno da baraccone di insane vetrine
sanremesi e Miles Davis scoperto “nero” e bravo ben dopo
gli anni di massima creatività.
La
“magia” sta nell’immensa naturalezza di un uomo che,
come pochi altri, è riuscito a trasportare il più profondo
significato della sua appunto magica terra nella più preziosa
e libera delle arti.
A
questo punto della sua fortunata e lunga carriera, forse non
serve più enumerare incisioni,
premi ed esperienze
varie che lo hanno imposto a livello internazionale e che fanno
sistematicamente ed ecumenicamente amare la sua musica: dentro
al suono della sua tromba c’è la linfa che ha dato lustro
alla nouvelle vague del jazz europeo, la profondità di un
pensiero non solo musicale, la generosità che lo vuole
“naturalmente” nel posto giusto al momento giusto ma,
soprattutto, l’enorme ed inesauribile passione che lo
sorregge da sempre.
[press
quote]
Inizia
lo studio dello strumento all'età di 11 anni nella Banda
Musicale del proprio paese natale e dopo varie esperienze di
musica leggera scopre il jazz nel 1980 ed inizia l'attività
professionale nel 1982 registrando per la RAI sotto la guida
del M°
Bruno Tommaso
e frequentando i Seminari di Siena jazz. Nel 1984 si diploma
in tromba presso il Conservatorio di Cagliari e nello stesso
anno vince i premi <RadioUno jazz>, <Musica jazz>
e <RadioCorriere TV> come miglior talento del jazz
italiano. Nel 1990 vince il premio <Top jazz> indetto
dalla rivista 'Musica jazz' come miglior musicista italiano,
miglior gruppo (
Paolo Fresu
Quintet) e miglior disco (premio <Arrigo Polillo> per il
disco 'Live in Montpellier'), nel 1996
il premio come miglior musicista europeo attraverso una
sua opera della 'Académie du jazz' di Parigi ed il
prestigioso ‘Django d’Or’ come miglior musicista di jazz
europeo e nell’anno 2000 la nomination come miglior
musicista internazionale. Solo i primi, in una lunga serie di
riconoscimenti che proseguono nel presente musicale.
Docente e responsabile di diverse importanti realtà
didattiche nazionali e internazionali, ha suonato in ogni
continente e con i nomi più importanti della musica
afroamericana degli ultimi 30 anni: F. D'Andrea, G. Tommaso,
B. Tommaso, T. Ghiglioni, E. Rava, A. Salis, E. Pieranunzi, G.
Gaslini, GL. Trovesi, R. del Fra, A. Romano, G. Ferris, J.
Taylor, K. Wheeler, P. Danielsson, J. Christensen, G.
Mulligan, B. Brookmayer, D. Liebman, K. Berger, D. Holland, R.
Beirach, J. Zorn, J. Abercrombie, H. Merril, R. Towner, R.
Galliano, M. Portal, T. Gurtu, J. Lee, Gunther Schüller, P.
McCandless, J. Hall, L. Soloff,
Uri Caine
, Gil Evans Orchestra, Toots Thielemans ecc.
Ha registrato oltre duecentosettanta dischi di cui
oltre trenta a proprio nome ed altri con collaborazioni
internazionali (etichette Francesi, Tedesche, Giapponesi,
Spagnole, Olandesi, Svizzere, Canadesi) spesso collaborando
con progetti 'misti' come Jazz-Musica etnica, World Music,
Musica contemporanea, Musica Leggera, Musica antica, ecc..
collaborando tra gli altri con M. Nyman, E. Parker, Farafina,
O. Vanoni, Alice, T. Gurtu, G. Schüller, Negramaro, Stadio,
ecc.
Dirige le linee artistiche del Festival 'Time in jazz'
di Berchidda ed è direttore artistico e docente dei Seminari
jazz di Nuoro.
E' stato più volte ospite in grandi organici quali
la 'G.O
.N. - Grande Orchestra Italiana', l'ONJ - Orchestra nazionale
di jazz francese, la NDR - orchestra della Radio tedesca di
Amburgo e l’italiana Instabile Orchestra.
Ha coordinato, inoltre, numerosi progetti multimediali
collaborando con attori, danzatori, pittori, scultori, poeti,
ecc. e scrivendo musiche per film, documentari, video o per il
Balletto o il Teatro.
Oggi è attivo con una miriade di progetti che lo
vedono impegnato per oltre duecento concerti all’anno,
pressoché in ogni parte del globo.
Molte sue produzioni discografiche hanno ottenuto
prestigiosi premi sia in Italia che all'estero.
Vive tra Parigi, l'Appennino Tosco-Emiliano, Bologna e
la Sardegna e dirige l'Associazione Culturale TIME IN JAZZ a
Berchidda con la quale organizza il prestigioso Festival
Internazionale TIME IN JAZZ dal 1988.
PAOLO
FRESU
QUINTET
Il quintetto
di
PAOLO FRESU
nasce nel 1984 per volontà di
Paolo Fresu
e Roberto Cipelli. Dopo varie forme diviene gruppo odierno nel
1985 con la registrazione di 'Ostinato' per la Splasc(h)
Records, e si consacra come uno dei gruppi di punta del jazz
italiano con il disco 'Inner Voices' assieme al sassofonista
americano Dave Liebman (1986). Da allora svolge una intensa
attività concertistica e discografica oltre che didattica.
Infatti il gruppo si propone spesso come 'gruppo docente' che
da forma a Seminari interattivi sugli stili e le strutture del
jazz viste dall'interno dell'esperienza di gruppo (Seminari di
Nuoro, Victoria School of Arts di Melbourne, Matera).
I
suoi componenti hanno precise ed importanti esperienze
didattiche tuttora in corso:
Roberto Cipelli
è titolare della
cattedra di Musica Jazz presso
la Scuola Civica
“Monteverdi” di Cremona nonché insegnante di Musica
d’Insieme e Tecnica dell’Improvvisazione nei corsi
sperimentali del Conservatorio di Brescia.
Attilio Zanchi
è titolare della
cattedra di Musica Jazz presso il Conservatorio di Piacenza.
Tino Tracanna
è titolare della
cattedra di Musica Jazz presso il Conservatorio di Milano
mentre
Ettore Fioravanti
lo è della stessa cattedra presso il Conservatorio di
Frosinone.
Diversi
progetti hanno inoltre visto il quintetto partecipe ad
esperienze multimediali tra il jazz e le altre arti (Teatro,
Cinema, Poesia e Danza). Nel 1990 il gruppo vince il premio
<Top jazz> della rivista specializzata 'Musica jazz'
come miglior gruppo del jazz italiano e come miglior disco
(<Premio Arrigo Polillo> disco 'Live in Montpellier'), e
ogni anno è ai primi posti con le proprie produzioni
discografiche. Da segnalare una menzione della rivista
americana 'Cadence' che, nel 1985 indicò 'Ostinato' come uno
dei più interessanti dischi dell'anno. Il progetto 'Concerto
Piccolo - Suite in 7 appuntamenti per Grande Orchestra e
piccolo gruppo' è il lavoro che consacra i primi dieci anni
di vita del Quintetto attraverso le composizioni del gruppo
rivisitate ed arrangiate dal M.o
Bruno Tommaso
per Orchestra d'archi e Big Band, presentato a Matera,
Roccella Jonica e Berchidda in contemporanea con l'uscita
dell'ottavo CD edito dalla Splasc(h) Records, dal titolo 'Ensalada
Mistica'. Spesso il gruppo prende forma di Sestetto (dal
1991 in
occasione del disco 'Ossi di Seppia') con la presenza del
polistrumentista
Gianluigi Trovesi
che prende naturalmente parte anche al CD 'Ensalada Mistica' o
dal 1996 con il sassofonista belga
Erwin Vann
, con il quale è stato inciso ‘Wanderlust’ per la Bmg/Rca
francese.
Il gruppo ha tenuto concerti nelle più importanti città
e Festival sia italiani che stranieri di ogni continente,
registrando spesso per Radio e Televisioni internazionali. Il
disco ‘Night on the City’ inciso per
la francese Owl
vince il premio ‘Choc’ per l’anno 1995 della rivista
francese specializzata ‘Jazzman’ e fa guadagnare a
Paolo Fresu
i premi dell’Academie du Jazz’ di Parigi e il prestigioso
‘Django d’Or’ come miglior musicista di jazz d’Europa.
Il libro ‘49 Composizioni’ raccoglie inoltre tutto
il repertorio del gruppo registrato per l’etichetta
discografica Splasc(h) Record. Quasi a festeggiare il XX anno
di attività, il 2004 è stato un anno “importante” per il
quintetto: una serie di incisioni per
la Blue Note
(che stanno uscendo, scadenzate in questi anni) ne celebra la
creatività, la freschezza e la longevità.
Web-site
del quintetto: www.paolofresuquintet.com